Emendamento 2025 e educazione sessuale a scuola: cosa cambia e perché non possiamo fermarci qui

Insegnante e bambini in cerchio durante un laboratorio di educazione affettiva in una scuola italiana

Negli ultimi giorni si è tornati a parlare di educazione sessuale a scuola. Dopo l’emendamento approvato il 16 ottobre 2025, che vieta ogni attività educativa su affettività e sessualità nelle scuole medie e la subordina al consenso scritto dei genitori nelle superiori, il tema è diventato oggetto di confronto in tutto il Paese.
Nel nostro Reel su Instagram abbiamo spiegato cosa cambia davvero, perché questo tema riguarda tutti — studenti, insegnanti e famiglie — e quali rischi corriamo se l’educazione viene lasciata solo agli algoritmi e non alle persone.

Mentre la politica discute, la realtà corre più veloce. Bambini di otto o nove anni, con uno smartphone in mano, si trovano già esposti a contenuti che influenzano il loro modo di vedere il corpo, la relazione e il consenso. Ignorare questa realtà significa lasciarli soli davanti a modelli che associano la sessualità alla prestazione e alla competizione, invece che al rispetto e alla reciprocità.

Perché si parla di nuovo di educazione sessuale a scuola?

L’emendamento 2025 nasce all’interno del Disegno di legge sul consenso informato e le attività extracurricolari, e stabilisce che nelle scuole primarie e secondarie di primo grado (elementari e medie) “non possono essere svolte attività didattiche e progettuali aventi ad oggetto temi attinenti all’ambito della sessualità”.
Nelle scuole superiori, invece, è possibile solo previa autorizzazione scritta dei genitori.
Il testo è disponibile nella memoria depositata presso la Camera dei Deputati: Documento ufficiale (PDF).

Molti docenti e dirigenti si chiedono: come possiamo educare al rispetto e alla relazione se non possiamo nemmeno nominarle?
Il rischio è quello di sottrarre ai giovani la possibilità di comprendere ciò che già vivono ogni giorno nel linguaggio, nei social, nelle relazioni.

Che cosa significa davvero educare all’affettività e alla sessualità?

Educare all’affettività non significa insegnare il sesso, ma aiutare bambini e adolescenti a conoscere se stessi, comprendere le emozioni e costruire relazioni sane.
Secondo la definizione dell’UNESCO, l’educazione sessuale è “un processo che integra gli aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità, aiutando i giovani a sviluppare relazioni sane e rispettose”.
(UNESCO, International Technical Guidance on Sexuality Education, 2018)

Molti genitori continuano a dire: “Mio figlio certe cose non le vede”.
Ma la realtà è che ha almeno sette o otto amici o amiche che invece le vedono, le ascoltano e ne parlano.
È questo il punto: anche se un bambino o una bambina non è esposto direttamente a certi contenuti, vive comunque in un ambiente dove questi temi circolano.
L’educazione affettiva serve proprio a dare strumenti, parole e consapevolezza per affrontare ciò che accade fuori dal controllo degli adulti.
Non si tratta di anticipare nulla, ma di accompagnare.
Perché quando il linguaggio arriva prima della realtà, diventa protezione. Quando arriva dopo, diventa solo difesa.

A che età dovrebbe iniziare l’educazione affettiva?

L’apprendimento emotivo comincia prima della pubertà.
Gli studi di Mary Helen Immordino-Yang (Frontiers in Psychology, 2015) mostrano che la regolazione emotiva influenza direttamente la memoria, l’empatia e la motivazione.
Rinviare questi percorsi significa lasciare spazio a modelli culturali o digitali non filtrati, che comunque formeranno la percezione dei più piccoli.

Tre semplici strategie che funzionano in classe e in famiglia:

  • Parlare di emozioni prima dei concetti.
  • Usare storie vere, non lezioni frontali.
  • Chiedere “Come ti sei sentito?” invece di “Perché hai fatto così?”.

Sono azioni che attivano la corteccia prefrontale, migliorano l’empatia e aumentano l’autocontrollo.

Quali benefici concreti porta l’educazione affettiva secondo l’OMS?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera l’educazione affettiva una strategia di salute pubblica.
Riduce i comportamenti a rischio, previene la violenza e promuove il rispetto di genere.
(OMS – Standards for Sexuality Education in Europe, 2023 – PDF)

I Paesi che la praticano fin dalla scuola primaria, come Olanda e Finlandia, mostrano tassi di benessere e inclusione più elevati.
In Italia, invece, solo il 47% degli adolescenti ha ricevuto una qualche forma di educazione sessuale a scuola, e al Sud la percentuale scende al 37%.
(Wired Italia, 2024)

Educare alla sessualità significa educare alla responsabilità: del proprio corpo, dei propri pensieri, delle proprie relazioni.

Perché gli adulti faticano a parlarne?

Perché parlare di affettività mette in gioco la parte più vulnerabile di chi educa.
Molti adulti non hanno ricevuto strumenti per affrontare emozioni, differenze e identità, e questo genera timore o rigidità.
Una docente che ha seguito la formazione Felicemente a Scuola lo ha raccontato così: “Ho capito che non posso insegnare empatia se non la vivo io per prima”.
L’educazione non riguarda solo i ragazzi: inizia da noi.

Come parlarne concretamente in classe o in famiglia?

Serve semplicità e coerenza.
Un insegnante può proporre la “mappa dei confini” per far riflettere sul rispetto dello spazio personale.
A casa, un genitore può tenere un “diario del sì e del no” per aiutare i figli a riconoscere le proprie emozioni e i propri limiti.
Ogni parola detta in tempo è una forma di protezione.
Ogni dialogo sincero è una possibilità di crescita.

Qual è il ruolo del metodo Felicemente a Scuola?

Il metodo Felicemente a Scuola unisce neuroscienze, empatia e didattica esperienziale per costruire contesti educativi sereni e inclusivi.
Attraverso giochi, laboratori e pratiche di mindfulness, aiuta studenti e insegnanti a sviluppare intelligenza emotiva, rispetto e consapevolezza relazionale.
Perché l’educazione non è un lusso: è la prima forma di prevenzione e protezione per i nostri figli.

Fonti ufficiali e approfondimenti

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