Il dirigente scolastico non deve farcela da solo: perché Felicemente a Scuola parte sempre da chi guida l’istituto

Dirigente scolastico seduto in ufficio, riflette in silenzio durante una mattina di lavoro, con luce naturale che entra dalla finestra.

Perché i dirigenti si sentono sempre più soli, anche se nessuno lo dice?

Nelle scuole italiane esiste una solitudine silenziosa che non compare nei verbali o nei circolari, ma che si sente appena si parla con chi guida un istituto. È una solitudine che cresce negli anni, fatta di responsabilità enormi, pressioni continue, conflitti da gestire, richieste che arrivano da ogni lato e che non lasciano mai tregua. Tra RSU che contestano le scelte organizzative, genitori che avanzano pretese irrealistiche, docenti che non trovano spazi di confronto e un Ministero che chiede risultati, dati, verifiche e scadenze senza fine, i dirigenti finiscono per vivere in uno stato di allerta costante. E non esiste un posto dove possano davvero alleggerirsi. Nessun supporto psicologico, nessuna figura di riferimento che li ascolti davvero, nessuno spazio protetto dove poter dire “non ce la faccio più”. È un ruolo che li porta a sostenere tutti, tranne se stessi. E questo, nella scuola reale, pesa tantissimo.

Perché il cambiamento in una scuola parte sempre dal dirigente?

Dalle nostre ricerche emerge una verità che spesso fa fatica a essere detta apertamente: un progetto funziona solo se il dirigente lo vuole davvero. Non basta che i docenti partecipino, non basta che gli studenti si divertano, non basta che le attività siano ben pensate. Serve che chi guida l’istituto si esponga, che dica pubblicamente “Questo percorso lo appoggio io”, che mostri che il cambiamento non è un optional, ma una direzione comune. Quando questo accade, la percezione della scuola cambia in modo immediato. I docenti non vedono più una “formazione”, vedono un movimento culturale che viene dall’alto e coinvolge tutti. E quando il dirigente si mette in gioco, anche solo stando seduto durante una parte del laboratorio, qualcosa nella scuola si allinea: spunta un senso di legittimità, di serietà, di impegno condiviso. Il cambiamento non parte dai contenuti, ma da chi li sostiene.

Quali ostacoli affronta un dirigente quando decide di cambiare davvero?

Dai documenti emerge un elenco di ostacoli che da fuori è difficile persino immaginare. Un dirigente che vuole migliorare la scuola deve affrontare tensioni con le RSU, richieste pressanti dei genitori, aspettative irrealistiche sul rendimento degli studenti, pressioni burocratiche che sembrano infinite e un corpo docente spesso sfiduciato o frammentato. È un ruolo che richiede lucidità, pazienza e una forza emotiva che, nel quotidiano, non viene mai riconosciuta. Anche quando tenta di portare qualcosa di nuovo – come Felicemente a Scuola – rischia di incontrare resistenze che non dipendono dal progetto, ma dalla stanchezza generale degli adulti. Eppure, proprio attraverso questi ostacoli, si vede quanto sia prezioso accompagnare il dirigente e non lasciarlo solo nel tentativo di cambiare la cultura scolastica. Il problema non è il progetto: il problema è il peso che il dirigente ha sulle spalle mentre cerca di portarlo avanti.

Cosa offre davvero Felicemente a Scuola a chi guida un istituto?

Sempre da nostri dati, c’è un aspetto che spesso passa inosservato: Felicemente a Scuola sostiene i dirigenti in modo molto più profondo di quanto sembri. Non si limita a programmare attività o laboratori, ma inizia dall’ascolto dei bisogni del dirigente, da ciò che lo preoccupa, da ciò che non riesce a dire in altri contesti. Questo ascolto avviene già nella prima analisi dei bisogni, in cui dirigenti e collaboratori vengono coinvolti per definire la direzione del lavoro. Poi c’è il supporto umano, quello che non si vede sui moduli, ma che esce chiaramente dai file: richieste di aiuto, momenti di confronto, difficoltà con il personale, conflitti interni, questioni delicate che nessun altro può gestire. E c’è la creazione dei referenti Felicemente, che alleggeriscono realmente il carico del dirigente e diventano una sorta di “ponte” tra lui e il resto della scuola. Quando un dirigente è sostenuto in questo modo, il suo ruolo si trasforma: non è più un muro da cui dipendono tutte le decisioni, ma una figura che può respirare e guidare con più lucidità.

Perché il dirigente non deve farcela da solo?

Perché non è possibile, e non lo è mai stato. La scuola italiana è un sistema complesso, pieno di tensioni emotive, aspettative, vulnerabilità e dinamiche che vanno oltre la didattica. Pensare che una sola persona debba tenere insieme tutto questo è una distorsione, non una virtù. Quando il dirigente è isolato, la scuola si irrigidisce, le relazioni si induriscono, le decisioni diventano difensive. Quando invece il dirigente sente che qualcuno sostiene anche lui, si apre una possibilità nuova. Non perché cambia tutto all’improvviso, ma perché diventa possibile condividere il peso, respirare di più, ascoltare meglio, agire con più calma e meno paura. Una scuola non cambia perché qualcuno lo ordina. Cambia quando chi la guida torna ad avere uno spazio di umanità.

Come cambia una scuola quando il dirigente viene sostenuto davvero?

Nei follow-up questo cambiamento è visibile. Quando il dirigente sente di non essere più l’unico a reggere l’intero edificio simbolico della scuola, la sua presenza cambia. Diventa più stabile, più lucida, più aperta. Il dialogo con i docenti diventa meno difensivo, più autentico; gli studenti percepiscono una scuola più coerente e meno contraddittoria; i conflitti interni non vengono più lasciati marcire, ma affrontati. Il clima generale si alleggerisce. Non perché spariscono i problemi, ma perché esiste qualcuno che li guarda insieme al dirigente, senza giudizio. E questo basta per far ripartire una scuola che sembrava ferma.

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